da un'idea di "Era un anno a casa" un blog tutto ... da leggere!!!

domenica 23 settembre 2012

Homeless

Non guardo praticamente mai la tv. L'ho gia' detto?
Aspetto che ricominci Fazio con Chetempochefa per avere un appuntamento settimanale.
Aborro Csi Ncis ER Dr H e tutta quella roba che e' girata negli States con quella carrellata infinita di facce strafinte che vogliono sembrare vere. Almeno quando c'era "Friends" i personaggi erano surreali e si capiva: da cio' che dicevano all'uso della piastra per capelli! Uno si divertiva sapendo cosa stava guardando.
Ma non sono una snob: al di la' di queste considerazioni sulla qualita' di cio' che ci propongono sul video la mia e' proprio mancanza di tempo e a parte qualche film ogni tanto io preferisco la radio e la lettura.

(da laLettura)



E' gia' una settimana e piu' che sento parlare di "Homeless" tra radiogiornali, trasmissioni di approfondimento e altro.
Oggi se ne occupa con uno spazio di due facciate anche laLettura come controcopertina.
E' uno spazio quasi espositivo, piu' che narrativo.
Campeggia quasi in centro una grande ritratto di un clochard sdraiato su una panchina a tinte colorate allegre, in completo contrasto con il grigio che affolla la nostra mente quando pensiamo alla vita di queste persone senzacasa. A sinistra una colonna: un breve articolo sul fenomeno recente dei senzatetto che scrivono su Twitter, hanno un profilo Facebook e un indirizzo email, se non addirittura un blog. Poi come una cornice tutto attorno i tweet, gli aggiornamenti, i post che gli Homeless stano lanciando nel web ogni giorno.
Istantanee di vite drammaticamente difficili, scomode, affannate, paurose.

Di solito alla parola BARBONE, CLOCHARD, HOMELESS, VAGABONDO, SENZATETTO si associa l'immagine di un uomo (innanzitutto maschio), dall'eta' indecifrabile, ma che sembra vecchio, sporco all'inverosimile (forse da qui il grigio ed il nero), coperto di strati sovrapposti di vestiti vecchi, puzzolenti e sudici, dalle facolta' mentali limitate per via dell'alcool, sonnolento e mendicante.

Ma oggi quelli ridotti cosi' sono pochi.
La maggiorparte di queste persone sono giovani adulti che non hanno la possibilita' di pagare un mutuo o un affittto per avere un tetto sopra la testa.
Giovani senza futuro e senza casa.
Diplomati e spesso laureati, disoccupati.
Qualcuno a volte riesce a trovare un lavoretto saltuario per pagarsi un hotdog o un sandwich. Passano le giornate senza un pasto caldo spesso a digiuno completo.
Non hanno un reddito, un indirizzo, se va bene possiedono la macchina o un minivan come i nomadi.
Parecchi pero' hanno un portatile e sfruttando le connessioni wireless dei caffe' o dei centri commerciali scrivono cosa stanno passando.
Mi dispiace di non essere in grado di capire lo slang americano.
Vorrei leggere quello che esprimono nella loro lingua, ripeterlo a voce alta per sentire come suona la paura, il disagio, la scomodita', la precarieta' assoluta.

C'e' Indy che tutti i giorni deve trovare il modo di lavare e vestire sua figlia per portarla a scuola.
"Maggie stava bene con il vestito 'nuovo' che abbiamo comprato per un dollaro a un mercatino locale. Siamo riusciti a darle una ripulita nel bagno di un parco un'ora prima della scuola".
Una bambina.
Che si lava in un gabinetto pubblico.

Crescere senza tetto. 
Io credo che dalla strada la vita appaia totalmente diversa.
All'interno delle nostre case le giornate sono fatte di vestiti, sapone, acqua calda, lenzuola morbide, coperte, specchi, sedie, divani, posate, piatti, pentole, pane. Gusci protettivi pieni di risorse per quasi ogni problema.
Ma la strada non ha niente.

Quello che leggo qui mi fa tornare in mente la strana sensazione che provavo da bambina quando "andavo giu'" a giocare.
Abitavo a Roma al terzo piano in un complesso di tre condomini immersi nel verde.
Mi ricordo che non mi piaceva tanto giocare sull'erba, preferivo la rampa che portava al garage, leggermente in salita, asfaltata.
Mi piaceva tracciare su quella superficie ruvida e dura segni con i gessi: la griglia del tris, il gioco della campana...
Mi piaceva sedermi per terra sull'asfalto mentre aspettavo il mio turno di gioco.
Ricordo nettamente la sensazione del contatto con il suolo grigio-nero caldo di sole, il micromondo che ci viveva in mezzo (formiche, erba, piccole viti, perline ed altri oggetti minuscoli), la visuale di casa mia da li' cosi' in basso, del cielo, degli alberi, delle gambe delle mie amiche.

Quando sei seduto per terra tutta il mondo ti passa davanti ed hai quasi l'impressione che nessuno ti riesca a vedere.

Io credo che un senza tetto si senta cosi'. Sta seduto li' e nessuno lo puo' vedere, nessuno guarda in basso (o non vuole guardare) e questa e' la sua sfortuna.
Ma in fondo non e' poi cosi' un male: se nessuno ti guarda mentre sei cosi' tanto in basso non ti mettono in imbarazzo, anzi sono loro che corrono via imbarazzati.
E per questi nuovi homeless che e' gente esattamente come me, ma con un mare di problemi economici in piu', la strada e' un posto dove nascondersi dagli sguardi delle persone.

Ad Edinburgh ne ho visti molti: ragazzi giovani insonnoliti ed infreddoliti dalla fame, accovacciati spalle al muro coperti da un duvet sporco, davanti un bicchiere di carta usato, nessun cartellino disgrafico con cui giustificare la propria condizione. C'erano anche donne, ragazze. Alcuni conversavano tra loro condividendo il duvet, anche sotto una pioggia battente.
I miei figli volevano sapere perche' stavano seduti per terra:"Non possono mettersi su una panchina mamma? Non hanno nessuno? Non possono cercare un lavoro?Avranno mangiato oggi?". Dietro un uomo in ospedale sappiamo che c'e' una malattia, ma dietro un clochard non sappiamo mai cosa c'e'.

(da laLettura)

(da laLettura)




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